domenica 27 ottobre 2013

Deentà 'mpiegàt (Diventare impiegato)

Deentà 'mpiegàt

Vó iå dumà, zio me racumande
le me bestiöle tratemele bé,
me da dumà deente n'impiegàt
luntà de ché, con la camiså biancå.
Parte ‘n pó prèst, salüdem  èl zio Gino
l'é za 'ndat viå, tacå za a 'mbrunì.

- Eros, lea sö i_é quasi sinch e meså
va che ale nöf te ghet de èser là,
magare primå, se sa mai, t'el set
che là a di àter te ghet de render cönt.
Ghe miå pö i tò, che la ghe a sèmper bé,
fat véder brao, isé i te tegnarà.

E pian pianelo con la machininå
sò riat là che l'erå amò 'n po' scür,
l'erå nebiuså, fredå la matinå
e me tremae, miå apenå per el frét.

- Che gran palàs, madòi ma quantå zent
va dènter che, el par en regimènt.
Spetå 'n mumènt che pröe a dumandà
'n du gó de 'ndà e pó... speróm en bé.

E se magare ghe o miå tant bé,
turné 'ndré a caså e fó magàre a urå
a dà na mà per paricià la robå
ale me bestie che i-é amó là a spetàm.



Diventare impiegato

Vado via domani, zio mi raccomando
le mie bestiole trattamele bene,
io da domani divento un impiegato
lontano da qui, con la camicia bianca.
Parto un po’ presto, salutami  zio Gino
se n’è già andato, comincia ad imbrunire.

- Eros, su in piedi son quasi cinque e mezzo
guarda che alle nove devi essere là,
magari prima, non si sa mai, lo sai
che là a degli altri dovrai rendere conto.
Non ci son più i tuoi, cui va sempre bene,
comportati bene, così ti assumeranno.

E pian pianino con la macchinina
sono arrivato che era ancora  scuro,
era nebbiosa, fredda la mattina
ed io tremavo, non solo per il freddo.

- Che gran palazzo, madonna quanta gente
entra qui dentro, sembra un reggimento.
Aspetta un po’ che provo a domandare
la strada e poi … speriamo in bene.

E se magari non gli vado bene,
ritorno a casa e faccio ancora in tempo
ad aiutare a preparare il fieno
alle mie bestie che stanno ad aspettare.


Autore: Eros Aroldi

2 commenti:

  1. Tra i componimenti letti a fine agosto, alla festa dei poeti che si è tenuta ai Disciplini presso il Duomo di Castiglione Delle Stiviere, il nostro carissimo Eros ci recitò questa poesia dialettale spiegandoci perfettamente lo stato d'animo del neo-impiegato...
    Mi sono subito ritrovato nei timori giovanili del nostro protagonista: mi sembra ieri quando varcai il portone d'ingresso della sede della Banca Popolare in via Garibaldi per entrare nel santuario dell'economia.
    Quante paure ed attenzioni nel comportarsi bene, nell'essere rispettosi verso tutto il nuovo ambiente lavorativo...
    Eros, il primo giorno di lavoro, come me e tanti altri, teme di non essere all'altezza e giunge a dire: "E se magari non gli vado bene, ritorno a casa e faccio ancora in tempo ad aiutare a preparare il fieno alle mie bestie".
    In quelle parole in dialetto "Ale me bestie" c'è già il rimpianto nostalgico di chi lascia la propria terra per affrontare una nuova avventura, lontano dalla sua stalla, dagli animali d'accudire, lontano soprattutto dalla propria famiglia, così amata, così sicura...

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  2. stellacernecca@libero.it

    2 giorni faDettagli
    caro Sergio
    ti seguo sul blog e la poesia di Eros Aroldi mi fa molta tenerezza, perchè egli è l'ultima generazione che pensava che l'avanzata sociale fosse in continua progressione, per garantire un futuro ai figli sempre migliore. A tale generazione appartengo anch'io. Che sogno diventare impiegata di banca a 20 anni. E ora che ci sono figli che non cambiano solo il mestiere rispetto ai padri, ma lasciano le terre, le citta, le patrie, lasciano il sicuro per l'insicuro, in cerca di futuro per vivere. Io non so cos'è questa fuga di giovani verso l'Australia, quando sento i vecchi che parlano di figli di conoscenti che partono, o anch'io sento amici di amici che lasciano l'Italia in cerca di fortuna eonomica, in cerca di un lavoro pagato adeguatamente.

    Ricordo le commedie sui filò di montagna in cui i giovani partivano via andando in città e lasciavano soli i vecchi a cavarsela, loro che non si sentivano di abbandonare le loro case , una vita trascorsa vicino alle loro montagne, quanto struggimentio per questi vecchi abbandonati. Oggi non si sa più chi è abbandonato se il vecchio o il giovane. Le carte del gioco sono tutte mescolate, e la fortuna da cercare appartiene a ogni singola persona, individualmente.
    Forse i giovani vedono il mondo un micro villaggio mentre io lo vedo sempre come un mondo enorme di 7 miliardi di abitanti, tanti da perdercisi dentro se non si trova la giusta collocazione.

    Questo modo d'invecchiare diventa un'apprensione, qui entra in ballo una ricerca di dimensione altra che elevi i cuori e illumini il futuro di tutti noi, una speranza trascendente che accolga i nostri respiri e renda possibile afferrare sogni nuovi magari più umani , più vicini tra persone, in una nuova rete di umanità calda .

    Grazie per ciò che pubblichi, ti seguo e vado pure a ritroso in questi 2 anni di blog e sento che dentro c'è pure la mia storia, le cose udite e condivise di una generazione, la mia, la nostra, quella di amici.
    La poesia aiuta, aiuta tanto a creare questa calda umanità e te ne sono grato, chissa che ci giungano anche altre parole d'incoraggiamento.
    Con stima
    Stella Cernecca

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